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«C’è incompatibilità tra libertà e cristianesimo? Quando è nata la moderna idea di libertà? E quando è accaduto che essa si traducesse in istituzioni politiche?»

Maurizio Ormas, col suo ultimo saggio La libertà e le sue radici. L’affermarsi dei diritti della persona nella pastorale della Chiesa dalle origini al XVI secolo, mostra come molte risposte a tali domande devono essere ricercate nel Medioevo, l’epoca in cui il cristianesimo ha espresso maggiormente, almeno nell’Europa occidentale, la sua influenza sulla società.

 

Il volume ricostruisce un lungo percorso storico all’interno del quale risulta chiaro che, se è vero che l’Occidente poté giustificare le libertà personali e sociali, politiche ed economiche sulla base di una dottrina del diritto naturale che risale almeno a Cicerone, è altrettanto e forse ancor più innegabile che i vertici di tale riflessione vennero raggiunti durante il periodo medievale.

 

Fu infatti dal II al VII d.C. che la dottrina dei pensatori latini precristiani venne integrata, nella riflessione dei Padri della Chiesa e dei pontefici romani, con il concetto di persona (introdotto grazie alla riflessione teologica sulla rivelazione) e con l’apporto del diritto consuetudinario delle tribù germaniche (una volta che furono inserite nell’alveo della romanità cristianizzata) basato sulla fedeltà personale e sull’idea della pari dignità tra signore e vassallo.

Alla fine del V secolo, inoltre, papa Gelasio formulò la dottrina della distinzione del potere temporale da quello spirituale e della loro reciproca indipendenza nelle rispettive sfere di competenza; essa costituirà uno dei cardini del pensiero politico medievale e contribuirà a dare all’Occidente il volto di società distributrice di diritti che noi conosciamo, perché romperà la concezione monistica del potere cara a tutto il resto del mondo e introdurrà quella del dualismo fra Chiesa e Stato.

 

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