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Fonte: Lettere al Giornale di Brescia
DOMENICA, 5 GENNAIO 2014
 
Il 2 gennaio scorso nei media ha avuto risalto la notizia della prevista «nascita» del reato di «omicidio stradale», mediante inserimento in un «pacchetto» di norme sulla giustizia (emergono cifre: la reclusione potrebbe essere portata ad un massimo di 10, 18, o più anni, ma non meno di 8). Arrivo che pare inesorabile, spinto per anni, da pubblico e privato. Non mi è possibile affrontare l’argomento come meriterebbe, specie in mancanza dei testi legislativi effettivamente in trattazione; però espongo qualche considerazione. La prima è che continua la generale tendenza – socioeconomica, legislativa e giudiziaria – in atto da decenni, ad una maggiore persecuzione, nella sostanza e procedurale, di fatti normalmente di natura «colposa», cioè quelli che, per la stessa legge (art. 43 Codice penale) si sono verificati per «imprudenze» di vari tipi (meglio dettagliate dall’articolo medesimo) e – si badi – «contro l’intenzione» di colui che li ha commessi (esempio, automobilista che per momentanea distrazione ha investito un pedone, cagionandone la morte). Il fenomeno della maggior criminalizzazione di fatti non «dolosi» (questi ultimi sono invece «secondo l’intenzione») ufficialmente è volto ad assicurare una maggior tutela fattuale e giuridica delle potenziali vittime. In controtendenza rispetto alla impostazione tradizionale del diritto penale, che rimarca di più le differenze tra «colpa» e «dolo». Un’altra considerazione attiene alle modalità con le quali ancora si arriva alla promulgazione delle leggi (o, quantomeno, di quelle circa le quali non è concepibile l’esistenza di gruppi di pressione che possano opporsi alla loro approvazione): non è accettabile che al comune cittadino, del quale si intende acquisire il consenso od almeno la non opposizione a modifiche normative, si lasci intendere – per omissione o con mezze parole – che già non vi siano leggi, stavolta, sul caso dell’omicidio commesso sulle strade. È vero infatti che il Codice penale e quello della strada non prevedono la dizione «omicidio stradale»; ma è pure vero che, con diversa formulazione, il fatto c’è, e con sanzioni di rispetto. Riporto per estratto l’attuale art. 589 del Codice penale: «Omicidio colposo. – Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale… la pena è della reclusione da due a sette anni. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcoolica ai sensi dell’art. 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni (nota: Codice della strada); 2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici». Piuttosto, vera è un’altra situazione. Ora, quello «commesso con violazione delle norme sulla disciplina stradale» è un caso particolare di «omicidio colposo», costruito dalla legge come una sua «circostanza aggravante»; ciò di volta in volta consente al giudice di decidere se «bilanciare» tale maggiore gravità, nella concreta determinazione della sanzione, con «circostanze attenuanti»; così, può accadere (e sovente accade) che gli aumenti di pena previsti dal Codice penale per la violazione delle norme sulla circolazione stradale finiscano in concreto annientati da contenimenti di pena autorizzati dallo stesso codice (esempi: per l’intervenuto risarcimento dei danni, per un concorso di colpa della vittima, per comportamenti altrimenti apprezzabili dell’imputato) oltre che per la scelta di procedure c.d. «premiali» («patteggiamento» o «giudizio abbreviato»); il risultato è che le più elevate pene sopra riportate («da due a sette anni»; ovvero «da tre a dieci anni…»; ovvero con pena che «… non può superare gli anni quindici») spesso non vengano irrogate, che si utilizzi quella del comma primo del medesimo art. 589 («da sei mesi a cinque anni»), e/o che le pene siano diminuite per patteggiamento o giudizio abbreviato. Con aggiunta dell’ulteriore fatto che, in tali casi, è frequente la concessione della c.d. «sospensione condizionale della pena», la quale può essere accordata dal giudice ad un imputato sostanzialmente incensurato e solo se la condanna viene determinata entro il massimo di due anni (o un po’ più per giovani od anziani al momento del fatto): il quale, quindi, potrà non scontare un giorno di carcere (salvo che in seguito non commetta nuovi reati: allora dovrebbe scontare sia la pena vecchia che quella sopravvenuta. E salvi anche ulteriori scenari). Dunque, il tema penalistico principale è questo: con la legge attuale il singolo giudice può condannare l’accusato per «omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale» ma evitargli di patire effettivamente il carcere ove ve ne siano idonee ragioni; se il reato di «omicidio stradale» od anche solo quello ora «aggravato» per i casi di guida in stato di alterazione da alcool o stupefacenti verrà costruito come illecito «autonomo» (cioè non soggetto a quel meccanismo di bilanciamento con eventuali attenuanti), allora il giudice non potrà stabilire che il carcere non debba essere concretamente scontato. Vedremo quale soluzione verrà adottata e, magari, gli ibridi. Va evidenziato che anche per altri tipi di reati negli ultimi anni il nostro legislatore, ligio alle sollecitazioni securitarie, ha adottato un metodo analogo a quello adesso proposto: togliere al giudice il potere di adottare condanne meno severe od effettive, facendo sì che l’esito del processo sia invece pre-determinato dalla legge, una volta per tutte. Contro i principi della scienza penalistica e costituzionale. Qualche considerazione accessoria. L’attuale legislatore italiano non ha troppe preoccupazioni per esigenze di sistema giuridico ed esattezza, tanto che sulle stesse materie vara decine di interventi; gradisce modificare il Codice penale perché rimestarne gli articoli non costa nulla e può farlo in fretta e quando conviene; si disinteressa del fatto che, disseminati i suoi ordigni, questi attingeranno, senza poi possibilità di strepiti, pure quei cittadini dei quali ha ottenuto consenso non spiegando loro come davvero stanno e staranno le cose (non saranno solo biechi albanesi o rom ubriachi ma anche maestrine e ragionieri mezze-maniche). In giorni in cui è sempre aperta la «caccia» a fuggitivi investitori «che hanno le ore contate», su questi aspetti gli stessi cittadini farebbero bene a vigilare. Carlo Bonardi Brescia