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Il sussidiario.net
 
L’ultimo decreto legislativo sul federalismo fiscale, l’ottavo in ordine di tempo, ha iniziato il suo iter in parlamento, nella Commissione bicamerale. E’ un decreto che segna una svolta culturale nel nostro sistema istituzionale: la fine dell’impunità della politica. Non nel senso giustizialista, ma nel senso della gestione dissennata dei soldi della gente. Oggi un Sindaco che dissesta il bilancio di un Comune – fatto purtroppo davvero avvenuto – creando un buco di oltre un centinaio di milioni di euro, può diventare poi, “in premio”, parlamentare europeo. E’ il malcostume di un’asimmetria tutta nostrana.
L’ordinamento italiano ha da sempre avuto la mano molto pesante contro l’imprenditore che, per sventura o incapacità, fallisce: interdizione dai pubblici uffici, iscrizione infamante nel pubblico registro dei falliti, limitazioni della libertà personale, divieto di esercitare alcune professioni (da quella di avvocato a quella di impiegato civile dello Stato). Solo dal 2006 queste sanzioni sono state mitigate, ma fino ad allora l’imprenditore fallito perdeva non solo la possibilità di candidarsi in una elezione politica, ma addirittura anche lo stesso diritto di voto. 
Tanto accanito contro l’imprenditore quanto inconcepibilmente tollerante con alcuni politici, lo stesso ordinamento italiano non ha quasi mai previsto nessuna sanzione specifica per quegli amministratori regionali o locali che mandavano in dissesto un Comune o disastravano i conti della sanità di una Regione. 
E’ quindi spesso avvenuto che chi falliva il proprio mandato di Sindaco o di Presidente di Regione, sia stato premiato con la ricandidatura o con un posto sicuro su qualche altra poltrona (parlamentare europeo o nazionale, consigliere provinciale o comunale, ecc.). Come se nulla fosse avvenuto: basterebbe verificare i curricula di alcuni politici per rendersene conto. Con quest’ultimo decreto si scrive la parola fine su tutta questa vicenda.

Il decreto prevede che il fallimento politico del Governatore di una regione scatti quando questo, nominato Commissario ad acta per risanare i bilanci regionali della sanità: a) non presenta il previsto piano di rientro o non ne rispetta, immotivatamente, gli obblighi; b) non raggiunge gli obiettivi del piano di rientro, con conseguente grave perdurare del disavanzo sanitario; c) incrementa per due anni consecutivi ai suoi cittadini l’addizionale Irpef al livello massimo previsto dal nuovo decreto sul fisco regionale (3%). Nell’ipotesi che si realizzino congiuntamente tutte queste tre condizioni, che implicano quindi comportamenti soggettivi e gravi, il Governo deve automaticamente proporre al Presidente della Repubblica, sentita l’apposita commissione parlamentare, la rimozione del Governatore per grave violazione di legge (così viene qualificato il dissesto della finanza regionale) ai sensi dell’art. 126 della Costituzione. 
Si deve, quindi, trattare di un Presidente di Regione che, per comportamenti omissivi a lui addebitabili (non c’entra quello che hanno fatto i predecessori), scarica pesantemente sui contribuenti regionali il peso della propria inefficienza. Per Sindaci e Presidenti di Provincia che mandano in dissesto il proprio ente si dispone la sanzione, quando la Corte dei Conti accerta un dolo o una colpa grave, della ineleggibilità per dieci anni alle cariche di Sindaco, di Presidente di Provincia, di Presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento, e del Parlamento  europeo. 
Lo schema del federalismo fiscale è chiaro: nella dinamica fisiologica il controllo è quello democratico dell’elettore e dell’opposizione politica; nella dinamica patologica non si aspetta il massacro dei cittadini (le nuove elezioni arriverebbero troppo tardi) e viene prevista una garanzia di ultima istanza in un sistema che ha reso trasparenti i bilanci, evidenti i risultati di entrata e di uscita di un amministratore, che ha sbloccato il potere impositivo regionale e locale al rialzo e al ribasso.