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In occasione dell’udienza con gli artisti, tenuta ieri a Roma nella Capella Sistina, il Santo Padre Benedetto XVI ha detto: “Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano.”
Questa è la ragione per la quale non rinunceremo mai ad iniziare le nostre assemblee con dei canti e cercare nel nostro lavoro la bellezza.

Buongiorno a tutti e benvenuti alla nostra Assemblea Generale!
Sono presenti fra noi partecipanti di tutte le 17 nazioni dove la CDO ha una sua sede. Ci sono tante persone, sia in Italia sia all’estero, che ci seguono in collegamento diretto e che ci seguiranno, soprattutto in America, in differita.
Saluto in modo particolare i membri del Parlamento Europeo, della Camera dei Deputati, i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni, delle Università e delle Camere di Commercio.
Sono molto grato che Don Julian Carron e Giorgio Vittadini abbiano aderito al nostro invito di sostenerci nel nostro tentativo di costruire una socialità per vera, più bella, più solidale. 
 
Introduzione
“Il tuo lavoro è un’opera”: durante tutto lo scorso anno ci siamo confrontati con questo tema, introdotto con l’Assemblea Generale del 2008.  Abbiamo preso maggiore coscienza della dignità del nostro lavoro e del lavoro dei nostri collaboratori. 
In una situazione in cui la crisi finanziaria ha cominciato ad incidere fortemente sull’ economia reale, abbiamo fatto l’esperienza che ogni gesto ha un valore, costruisce,  è positivo.  
Tutti lavoriamo per ottenere risultati, ma non  raggiungerli non è un verdetto sulla nostra persona. Vissuta con un criterio ideale, ogni mossa, anche la più piccola, diventa un passo verso una positività ed afferma il valore infinito della vita stessa. Anzi un’ultima letizia anche in una sconfitta è la testimonianza di un’umanità capace di abbracciare tutto.
E così – proprio in questi mesi caratterizzati dalla crisi economica – abbiamo riscoperto il significato del lavoro come espressione della persona, del proprio desiderio di costruire e di contribuire al bene della propria famiglia, dei propri collaboratori, del territorio nel quale viviamo. 
Ci è stato possibile riscoprire il valore delle nostre opere, delle nostre imprese, dei nostri studi professionali, delle nostre cooperative, delle nostre scuole, delle nostre piccole o grandi iniziative, e non solo come un valore in sé, ma come un valore che riguarda altri, tanti altri – direttamente o indirettamente coinvolti.
 
“La tua opera è un bene per tutti” – questo è il titolo dell’Assemblea di quest’anno, e nasce da un’esperienza che chiede ora di essere approfondita.
Viviamo in un tempo dove tutto sembra dominato da un individualismo che cerca sempre più di sfruttare, in modo utilitaristico, il mondo intorno a sé. Quando questo atteggiamento crea frizioni o spaccature, sia nella vita privata che pubblica, si è poi costretti a ricorrere alle regole di una cosiddetta “etica” per contenerne le conseguenze. 
Al contempo, però, vediamo che esiste fra noi e in tante persone che incontriamo una tensione positiva a mettersi insieme per affrontare le sfide della vita. Nella crisi, infatti, sono emersi tanti esempi di responsabilità solidale: Chi ha reinvestito il suo capitale privato per non licenziare, chi ha portato avanti un’azienda quando poteva anche vendere o chiudere, chi ha creato una collaborazione con altre imprese per affrontare insieme i problemi del mercato e chi ha semplicemente, ma eroicamente, continuato la sua opera lottando giorno dopo giorno con tenacia e creatività per la sua sopravvivenza.  
Nonostante la durezza dell’impegno richiesto sono sempre state esperienze positive, di un’umanità più vera, più dignitosa, più piena, anche quando non si è riusciti  a trovare una soluzione completa a tutti i problemi presenti. 
Da qui è nata la domanda che abbiamo posto a Don Julian Carron: Sentiamo urgente il bisogno di prendere maggiore coscienza dell’origine di questa tensione ideale per poter proseguire con più certezza, con più libertà e pace in questa esperienza. Come rendere esperienza quotidiana ciò che troppo spesso appare una lucidità di giudizio legata a circostanze eccezionali?
 
 
Conclusioni di Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere

 
Mi permetto di proporvi alcune considerazioni che ritengo importanti per la nostra vita associativa.
Una responsabilità che nasce da un dono
Dopo questi due interventi è ancora più chiaro che il bene di una società non può nascere da un automatismo o un meccanismo sociale o economico, non può essere programmato scientificamente  e non può essere organizzato attraverso programmi governativi.
Tutto dipende dalla persona, tutto nasce dalla persona, dalla sua cultura e quindi dalla sua educazione. Che le nostre opere siano un bene per tutti dipende da noi, da ognuno di noi e dalla sua disponibilità ad imparare, ad osservare, ad accogliere le opportunità che gli si presentano, dipende dalla sua responsabilità. Senza che le persone si assumano liberamente la loro responsabilità personale, il bene comune rimane una pia intenzione o rischia di diventare una violenta ideologia.
 
Ci sono tanti passaggi nell’Enciclica “Caritas in veritate” che sottolineano questo punto, laddove si parla esplicitamente di “tutte le persone” e di “tutti”.  “Tutti” vuol dire “ognuno”.  Non si tratta quindi solo del lavoro produttivo o remunerato: ogni impegno, ogni gesto costruisce. Nell’esperienza cristiana anche l’immobilità sul letto di un ospedale può essere offerta come contributo per il bene del mondo. Perché, come ha detto Don Julian, prima di tutto è una questione del cuore, che poi si esprime secondo le circostanze che deve affrontare. Alcuni contributi sono, in un certo modo, misurabili, altri no – e questi sono spesso i più importanti, come per esempio l’educazione.
La fedeltà a se stessi, al desiderio iscritto nel proprio cuore non è scontata. Il mio rispondere quotidianamente con i criteri veri alle sfide della vita personale e professionale è continuamente sottoposto a rischi che possono mettermi a dura prova. Per questo la nostra amicizia è già di per sé un continuo sostegno a questa fedeltà e quindi alla responsabilità, soprattutto nei momenti difficili dove tutto congiura verso una reattività,  che poi non è altro che una forma di schiavitù o di ribellione.
La dura tempesta che stiamo attraversando è proprio nata dal tradimento di questo desiderio, come ha ricordato Giorgio Vittadini; perché la massimizzazione del profitto nel più breve tempo possibile, come unico ed esclusivo scopo della vita economica, non corrisponde a questo desiderio, ma ad una sua forma ridotta e parziale – e non corrisponde nemmeno, come la crisi stessa ha dimostrato, alla natura di un’impresa e dell’economia stessa -. 
Ma cosa si intende allora con il “bene per tutti”?
Un “bene per tutti” significa un bene per i giovani che iniziano con noi la loro vita lavorativa. Abbiamo la possibilità di accogliere i giovani dentro le nostre imprese, di sostenerli nella crescita professionale, di introdurli in una crescente responsabilità in modo che anche loro possano fare l’esperienza di una positività vera e duratura attraverso il lavoro, di conoscere sempre di più se stessi e il mondo, di vivere la loro vocazione umana con maggiore intensità. Il lavoro all’interno di un’opera è un’opportunità privilegiata per fare esperienza del nesso intrinseco fra libertà e responsabilità.
Un “bene per tutti” significa un bene per tutte le persone che lavorano con noi e intorno a noi. Che la possibilità di lavorare e di fare un’esperienza positiva di sé non sia scontata, è emerso dolorosamente in questi mesi. E il valore di un’opera si dimostra anche nella sua possibilità di offrire lavoro. Per questa ragione la conduzione di un’opera, in una prospettiva di medio-lungo termine, è essenziale, sia rispetto alla dinamica originale dell’impresa stessa ma anche rispetto alla possibilità di dare lavoro. E questo è uno dei punti cardini dove si evidenzia se il profitto è considerato uno scopo o uno strumento.
Un “bene per tutti” significa un bene per noi stessi. É proprio attraverso la creazione e la conduzione di un’opera che conosciamo noi stessi, i nostri talenti e i nostri limiti, e facciamo l’esperienza del “lavorare insieme” con tutte le sfide personali inerenti a questa collaborazione.  Attraverso lo strumento della professionalità e la fatica che essa implica, è possibile fare esperienza di un arricchimento personale, dove la nostra umanità si apre e si spalanca. 
 
A questo punto diventa comprensibile che la gratuità è una “esigenza di ragione economica”, come dice l’enciclica Caritas in Veritate: La cura dei rapporti, l’attenzione ai giovani, la ricerca della bellezza, l’aiuto a chi ne ha bisogno – sono tutti impegni personali non codificabili in contratti, ma essenziali perché le imprese e le relazioni fra imprese possano funzionare.
Questi e tanti altri fattori – dei quali diventeremo sicuramente più consapevoli duranti i prossimi mesi – dimostrano che la “responsabilità sociale”- della quale si parla tanto – è qualcosa di intrinseco all’opera, non è un’attività aggiunta. Se un’impresa fa della beneficienza o sostiene sistematicamente delle iniziative solidali o si impegna per la tutela dell’ambiente, si parla giustamente, in un modo più specifico, di responsabilità sociale e di sostenibilità. Ma ogni impresa, per il solo fatto che esiste, si assume in fondo una responsabilità sociale: Ogni impresa è inserita in un tessuto territoriale e incide sulla vita delle persone che ci lavorano e sulla vita delle persone che abitano in quel territorio.
Tutto questo dipende dalla coscienza che abbiamo di noi stessi e dalla concezione che abbiamo della nostra opera. Dopo le parole ascoltate è evidente che la nostra opera sarà tanto più “nostra” quanto più la consideriamo un bene affidato, dato a noi e a chi lavora con noi, proprio per creare beni e servizi. Come ci è stata donata la vita e i nostri talenti, così ci sono state donate le opportunità di creare e di mantenere le nostre opere.
La responsabilità viene normalmente proposta in una concezione “etica”, come un dovere imposto. Di fatto, tutti questi propositi etici rischiano prima o poi di fallire di fronte alle fatiche e alle tentazioni. Le parole di Don Julian hanno, invece, dimostrato che esiste una responsabilità che nasce da una sovrabbondanza, che si mette in gioco per un dono ricevuto e riconosciuto. 
Mi sembra importante andare all’origine del nostro lavoro e delle nostre opere, per comprendere che siamo tanto più capaci di generare quanto più ci lasciamo generare, e che siamo tanto più capaci di condurre un’opera o di lavorare al suo interno quanto più la riconosciamo come un dono affidato.(a noi)
 
Dialogo e pluralismo 
C’è un altro importante contributo al bene comune che nasce dalle nostre opere e  che emerge dall’esperienza stessa della nostra amicizia operativa. 
 CDO nasce da un’amicizia che ha, come tutte le amicizie vere, lo scopo che ognuno possa diventare sempre più sé stesso, rispondendo con i suoi talenti, le sue capacità, il suo temperamento alle sfide e alle opportunità che si presentano affinché possa vivere la sua vocazione dentro e attraverso il proprio lavoro. 
Questo è ciò che noi intendiamo per responsabilità e vogliamo che questa responsabilità personale cresca e maturi come espressione di sé – per questo siamo insieme.
Ma questa nostra amicizia non vuole rimanere esclusiva o chiusa in sé. I tanti incontri pubblici che abbiamo fatto durante gli ultimi 12 mesi hanno dimostrato che è possibile instaurare un dialogo utile per paragonare esperienze, arricchire conoscenze, creare fiducia e dare conforto.  
Facciamo di tutto perché possa crescere un’economia e una vita sociale dove ciò che è valido economicamente e aziendalmente sia anche valido per la persona, e ciò che è valido per la persona sia anche valido aziendalmente ed economicamente. Questo tentativo, spesso implicito nel nostro modo di decidere, perviene, attraverso la testimonianza pubblica, ad una consapevolezza più esplicita, diventa più incisivo, ed é valutato, sostenuto e corretto con maggiore chiarezza.
Se è vero che il bene comune viene creato dalle persone, dalle loro iniziative e dalle opere, allora occorre un pluralismo che permetta alle diverse forme di aggregazione e di collaborazione di esprimere la loro identità e quindi anche una diversità. 
Ma, purtroppo, ci troviamo in una situazione dove spesso la parola “pluralismo” viene intesa come “relativismo”, come appiattimento delle diversità, delle esperienze caratterizzate da una chiara e riconoscibile identità umana e sociale. 
Noi vogliamo e difendiamo un pluralismo che riconosca la sua stessa  origine che è il rispetto della pluralità delle esperienze e dialogo fra di loro. 
Vogliamo una società plurale, in cui il dialogo e il confronto siano basati sulla ragione e orientati da una tensione ideale, capace di valutare le diverse proposte per la loro ragionevolezza. 
In mezzo a tanti dibatti pubblici aspri, indegni, autoreferenziali, inutili e a volte anche dannosi proponiamo, attraverso i nostri incontri pubblici, un dialogo aperto con tutti, perché siamo convinti che la ragione, per sua propria natura, è desiderosa di conoscere ciò che  è vero, ciò che è bello e ciò che serve affinché l’uomo possa diventare più uomo. 
Di fronte ad un continuo sospetto, una focalizzazione accanita su errori, mancanze e limiti – siano essi reali o inventati -, di fronte a questo cinismo che cova risentimenti e odio, riteniamo decisiva la proposta di esperienze positive e di esempi virtuosi. 
Senza il riconoscimento di una pluralità e di un dialogo basato sulla ragione non è possibile costruire un bene comune. Il Meeting di Rimini è sicuramente un esempio, a livello internazionale, della possibilità di promuovere un dialogo in favore del bene di tutti.
 
Il dialogo con la politica
Questa fiducia nella positività dell’iniziativa e creatività della persona è la ragione per la quale sosteniamo la sussidiarietà come principio fondamentale di una società civile. Il bene comune viene generato in prima linea dall’insieme delle diversissime iniziative all’interno della società e deve essere tutelato e sostenuto dalla politica e dalla pubblica amministrazione.
Ma prima di tutto non deve essere ostacolato: chiediamo quindi che la Pubblica Amministrazione paghi in tempi ragionevoli i suoi fornitori e gli enti privati che lavorano per il pubblico, elimini i macchinosi cavilli burocratici (che non costerebbe niente, ma aiuterebbe molto) e diminuisca per quanto possibile il peso fiscale per le famiglie e per le imprese. Si avvertono i primi segnali in questa direzione, ma sono ancora troppo deboli. Occorre rafforzarli. 
Segnali forti sono al contrario l’introduzione del federalismo fiscale – un passo decisivo ed essenziale per il nostro Paese –, e l’introduzione del 5 per mille, uno strumento efficace che possiede anche un valore simbolico, perché per la prima volta i cittadini possono decidere la destinazione delle loro tasse. 
Ricordiamo che qualsiasi tipo di centralismo e assistenzialismo indebolisce la società, le iniziative e la responsabilità delle persone.
Un tema fondamentale nel dialogo con la politica rimane l’educazione.
Se è vero che la vita sociale è basata sulla cultura e la cultura a sua volta sull’educazione, allora è evidente il valore anche sociale della scuola e delle opere educative. Insistiamo sull’autonomia scolastica che dà alle singole scuole la possibilità di stabilire il loro percorso educativo e dà alle famiglie la possibilità di scegliere le scuole che loro ritengono più idonee per i loro figli, in un modo veramente paritario, quindi senza che questo diventi un ulteriore peso economico, come succede già nella stragrande maggioranza degli altri paesi europei.
E se qualcuno non vuole confrontarsi con il valore culturale di una tale impostazione può anche limitarsi al punto di vista matematico: Le scuole non statali hanno un costo pro capite significativamente inferiore a quelle statali (utilizzo la parola “costo” per ragioni di terminologia tecnica, in realtà si tratta dell’investimento più importante che una società ed uno Stato possano fare).
Abbiamo pubblicato un documento sul futuro delle scuole in Italia e all’interno di questo documento si trovano anche delle considerazione che valgono per tutti gli altri paesi nei quali siamo presenti: Qualsiasi sistema scolastico che vuole mettersi al servizio di una educazione vera deve rispondere alle domande dei giovani che “chiedono di ricevere dalla scuola non solo nozioni, ma anche e soprattutto, orientamenti, insegnamenti fondamentali, criteri per interpretare l’esistenza e il delicato passaggio al mondo del lavoro”. 
Per questa ragione faremo tanti incontri pubblici su questo documento nei prossimi mesi. E mi sembra giusto che in questo dibattito emerga anche l’impegno esemplare di tanti insegnanti che vivono una passione educativa vera e convincente – dentro le scuole statali e dentro le scuole paritarie.  
 
Aiuto a chi cerca lavoro
Se sottolineiamo il valore del lavoro, sottolineiamo anche il fatto che bisogna aiutare chi sta cercando lavoro. Come sapete esistono tra di noi diverse iniziative e opere per aiutare chi cerca lavoro, in forme di volontariato e in forme professionali. Noi cerchiamo di rendere sempre più efficaci gli strumenti che abbiamo e di creare maggiori sinergie fra loro.  
È importante che nessuno che abbia perso il lavoro resti solo, ma trovi chi lo accompagna e lo sostiene. Ho incontrato in questi mesi diverse persone che – mentre lavoravano per trovare lavoro (perché anche questo è un lavoro!) – hanno lavorato qualche ora al giorno gratuitamente, rimanendo in questo modo attivi e impegnati, evitando il rischio di cadere nella disperazione.  
Stiamo preparando del materiale informativo che documenta le diverse forme contrattuali esistenti, affinché le aziende possano sceglierne quelle più idonee alla loro situazione.  Continuiamo ad aggiornare le imprese circa i provvedimenti dello Stato riguardanti l’inserimento lavorativo e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali.
 
Il Matching
Domani si aprirà la 5° edizione del Matching.
Il Matching è nato dalla nostra amicizia operativa, dal desiderio di allargare la nostra rete anche a livello internazionale, di renderla più rispondente ai nostri bisogni e di migliorare l’efficacia della nostra operatività. Chi ha iniziato il Matching si è assunto anche la responsabilità e i suoi rischi. Non era sicuro che potesse funzionare. E ancora oggi lo vediamo con un certo stupore: L’anno scorso, quando la crisi cominciava ad essere realmente percepita e anche quest’anno dove la crisi pesa sulle spalle di ognuno, le imprese non si tirano indietro, ma affrontano la situazione con fiducia e con forza. Il Matching è diventato uno strumento importante per rispondere alle sfide assumendosi la propria responsabilità.
Il valore di questo grande incontro – che si specifica in 40.000 singoli incontri – sta nella capacità di creare, di mantenere e di valorizzare le relazioni, anche le relazioni fra imprese profit e imprese non profit, un dato abbastanza eccezionale nel panorama socio-economico.
Fa parte del Matching anche la condivisione di conoscenze e competenze, tanto invocata ma raramente realizzata. Creiamo l’occasione perché questo possa avvenire attraverso 15 seminari e 50 workshop e attraverso gli incontri fra i partecipanti: Perché, anche quando un incontro non porta alla firma di un contratto, porta sempre ad un’informazione che domani può anche diventare conoscenza utile.
Il Matching mette a tema l’innovazione ma è già di per sé un’innovazione, e non parla in astratto dell’internazionalizzazione ma propone incontri fra partecipanti di 43 nazioni.  
 
Augurio finale
La CDO è un grande tentativo di realizzare una socialità al servizio della libertà di ognuno e al bene di tutti. Come ogni tentativo è “approssimativo”, ma questo non vuol dire “relativo” – al contrario, vuol dire “sempre più prossimo”: Ogni momento di questo tentativo è caratterizzato da una tensione ideale che lo rende vero, autentico e costruttivo. In questa dinamica tutto è utile, se non si ferma all’analisi ma diventa – guidato da un criterio ideale – giudizio. Il giudizio apre sempre a un cambiamento, a un miglioramento, alla scoperta di qualcosa di nuovo. 
Per far maturare questa socialità é certamente importante lottare contro le logiche di gruppo e le logiche di potere,  ma è sicuramente più importante nutrire giorno per giorno il gusto della la libertà in noi, nelle persone a noi affidate e in tutte le persone che Dio ci fa incontrare sul nostro camino.
Vi ringrazio per la vostra presenza, perché essa é la testimonianza di un coinvolgimento personale in questo camino di libertà.
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