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Anche se in ritardo, devo ricordare un centenario molto importante. Era il 16 gennaio 1910 quando Charles Péguy pubblicava Il Mistero della carità di Giovanna d’Arco. Un capolavoro di poesia, di teologia, di cristianesimo vissuto. Péguy ha 37 anni e da dieci spende tutte le energie fisiche e le poche risorse economiche per tenere in piedi i Cahiers de la quinzaine (quaderni quindicinali).

 

Letteralmente si consuma per questo suo periodico, a cui affida la missione di tenere desti i giovanili ideali di giustizia e verità; quelli per cui si era buttato a corpo morto per far riconoscere l’innocenza di Dreyfus e aveva aderito al partito socialista. Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, nel suo piccolo atelier di rue de la Sorbonne a Parigi, Péguy si sfianca per contattare gli autori, sistemare i manoscritti, impaginarli, correggere le bozze, cercare gli abbonati, raccogliere i fondi necessari.

 

Ma più il tempo passa più Péguy si sente ed è di fatto isolato, abbandonato, vinto. È sempre sull’orlo del fallimento, quasi nessuno si occupa del suo lavoro. Pochi capiscono la sua martellante critica alla demagogia che domina il mondo culturale e politico, il suo disperato allarme per una umanità che muore sotto i colpi dell’intellettualismo, del compromesso, dell’ideologia. Molti dei suoi vecchi compagni di strada lo abbandonano; quelli nuovi, i cristiani, (Péguy ha infatti ritrovato la fede) non lo capiscono e sospettano dell’ex socialista, anche perché, per rispetto della contrarietà della moglie, non fa battezzare i figli.