Seleziona una pagina
Il sussidiario.net
 
PIGI COLOGNESI
 

Lo so molto bene che non è giornalisticamente corretto mettersi a commentare una notizia che è vecchia già di due settimane. Ma lo faccio lo stesso, perché mi sembra proprio il caso di non cedere alla consumazione da fast food delle notizie.

 

Per quale ragione una cosa capitata due settimane fa deve per forza finire nella pattumiera, insieme alle bucce dei frutti mangiati, o nel cestino dei fogli scarabocchiati? Sarà pure possibile che ci siano fatti sui quali uno ritorna con la memoria, perché hanno ancora una grande ricchezza d’insegnamento.

Anzi, nel turbine degli accadimenti, le cose più care sono proprio quelle su cui ci si può continuamente attardare, che si possono continuamente guardare, senza neanche troppo la preoccupazione di “commentarle”. Così è dell’avventura dei trentatre minatori cileni estratti dalle viscere della terra dopo che li si era creduti morti e dopo che per settanta giorni si è cercato, alla fine con successo, di estrarli incolumi, superando uno strato di terra e roccia di oltre seicento metri.

I commenti ci sono stati, abbondanti, spesso profondi e azzeccati. Si è parlato di vittoria della speranza e della combattiva tenacia che si oppone alla crudeltà della natura, e all’incuria degli uomini. Si è parlato della fede che ha sorretto i minatori e che la preghiera di migliaia di persone ha quotidianamente alimentato.

Si è acutamente proposta le metafora della ri-nascita, del nuovo venire alla luce di questi uomini che sembravano imprigionati nel ventre oscuro della terra. O quella della guarigione, che altro non è che il divincolarsi da una materia ostile e soffocante per tornare a respirare a pieni polmoni l’aria della salubrità. E poi l’accento sull’attesa dei parenti: il volto del bambino che, col suo caschetto bianco, aspetta il papà, quelli della moglie agitata o dei genitori sfiniti.

Non voglio aggiungere altre immagini. Mi chiedo soltanto come mai questa notizia sia stata per me – e penso per molti – così coinvolgente da arrivare alla commozione. Credo che sia perché abbiamo visto che non c’è abisso buio e soffocante dal quale non si possa risalire. Sappiamo bene che l’abisso esiste.

continua in http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=121528