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Bresciaoggi 14 gennaio 2010

– Incontro con Galli della Loggia promosso da Areopago e Città Europa –

Il divario tra il Nord e il Sud Italia è storico e diverse sono le esigenze di queste due parti del Paese. Tanto che le formule più moderne pensate per «rivisitare» l’organizzazione dello Stato non dappertutto rischiano di avere la stessa efficacia. Se n’è parlato ieri nel convegno «Verso l’Unità d’Italia», promosso agli Artigianelli da Areopago e Città Europa.
«IL PROBLEMA del Sud – è la riflessione che il presidente della Fondazione San Benedetto e del Cds di A2A, Graziano Tarantini, ha avanzato – è di ordine pubblico. Si pensi che come condizione per gestire il termoutilizzatore in Campania dobbiamo avere l’esercito per tutta la durata del contratto».
Se dunque – ha risposto l’editorialista del Corriere della Sera e storico Ernesto Galli della Loggia – l’obiettivo nel Meridione è «ristabilire l’impero della legge, il federalismo non è la via giusta».Al giorno d’oggi infatti «le classi politiche locali operano già in regime di totale libertà a causa di un sistema dei media che non le controlla». A parere del professore, il federalismo aumenta infatti anziché limitare gli effetti del professionismo politico e dà potere ai sindaci e ai presidenti di regione.E «se in certe Regioni va bene, in altre io il potere lo darei più volentieri al colonnello dei carabinieri».
Intanto, il passato dell’Italia dice di due zone, il Settentrione e il Meridione – ha spiegato in apertura il professore – molto isolate tra loro, che all’inizio dell’ ’800 avevano pochissimi rapporti, mettevano in campo rari scambi commerciali.
Era un Paese però, il nostro, che già in tempi remoti poteva vantare elementi unitari ancor prima che i Mille di Garibaldi – tra i quali, curiosità, la metà erano bresciani o bergamaschi – compiessero la storica impresa. C’era una sola lingua, per esempio: si parlavano dialetti, è vero, ma «tutto ciò che si scriveva veniva scritto in italiano». E una sola fede religiosa. Con qualche sfaccettatura. Se è vero che, come ha spiegato Tarantini, la presenza dei cattolici ha dato «l’impronta decisiva per l’aspetto civico del nostro Paese», c’è da dire anche però che le distinzione era netta: «Nell’Italia meridionale l’assenza di una fedeltà civica allo Stato imponeva la fedeltà alla Chiesa mentre in Piemonte la società era così permeata dallo Stato» che nessuno ne metteva in dubbio la supremazia.
I punti in comune non mancavano insomma, ma c’erano anche le disomogeneità, e pure interne agli stessi blocchi. L’Unità d’Italia, per esempio, si fece «sfruttando lo storico antagonismo tra la Sicilia e il resto del Sud»». Nel Nord, invece, il Piemonte era strutturato come un vero e proprio Stato; mentre il lombardo veneto era solo un’occupazione militare (degli austriaci). Una piccola querelle è nata tra Tarantini e il professore proprio sul ruolo storico della Lombardia, e sul suo ruolo oggi. Per il primo la nostra Regione, ammesso che davvero abbia dato un contributo marginale nel processo unitario, con il passare del tempo ha saputo prevalere e oggi qui si sta meglio che altrove. «Non certo per merito dei suoi abitanti – ha ribattuto Galli della Loggia – ma perché è partita con condizioni economiche più felici».
CON TUTTE queste distinzioni e sfumature, ha detto l’assessore Mauro parolini, che è tra i fondatori di Areopago «mi sento totalmente e orgogliosamente italiano. Ma c’è ancora una ragione per cui vale la pena di appartenere ad un unico Stato?». Sì, se è vero che – come ha sottolineato Galli della Loggia – la storia dell’Unità d’Italia è fatta di 150 anni di grandi successi. Soprattitto perché «il nostro Paese si è fondato sullo Stato, che ha convogliato su di sè le risorse investendole per la crescita». Con il Risorgimento si è interrotta, ad esempio, «una tendenza politica che privava i cittadini di alcune libertà essenziali». Da allora il prodotto pro capite è cresciuto. E il progresso «ci ha messo alla pari con Paesi che un secolo e mezzo fa erano in condizioni estremamente favorevoli».