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Giornale di Brescia Novembre 2012

 
Riportiamo qui un interessante articolo che mi ha fatto capire come la libertà sia un bene che va conquistato ogni giorno.
 
Mauro Parolini
 
 
Indagare le pieghe dell’animo attraverso la crudeltà della storia. Lo ha fatto padre Fiorenzo Reati, un francescano che ha dedicato anni della sua vita a spulciare gli archivi russi per riportare alla luce il destino di milioni di reclusi e fucilati nei gulag sovietici. Due milioni di persone, dal 1918 al 1953 (anno della morte di Stalin) sono cadute sotto i colpi di fucile: un dato quasi di cronaca che va al di là delle pur accese dicussioni tra gli avversari politici. «Anche dopo la caduta del sistema sovietico la questione del gulag, con tutte le nefandezze commesse dal regime, piuttosto che indurre a fare ricerche e studi, ha sollevato dure polemiche tra gli avversari» scrive padre Fiorenzo nel libro «La lunga ombra del gulag – vita e morte del lager sulle isole Solovki» (Arca edizioni) nel quale raccoglie parte delle testimonianze dei condannati rintracciate negli archivi nell’ambito del lavoro di ricerca con l’Associazione internazionale Memorial. Il lavoro svolto da padre Reati – docente di Filosofia al Seminario cattolico e all’Accademia russa cristiano-umanista a San Pietroburgo – ha focalizzato l’attenzione sulle persone colte, l’intelligencija, che proprio in virtù dell’appartenenza ad un certo gruppo sociale sono state vittime predestinate della deportazione. Intellettuali, sacerdoti, monaci. Persone innocenti «che dobbiamo riabilitare ed indicare ad esempio per il loro alto impegno civile alla difesa della libertà di coscienza».
Indaga, il libro, su una «lunga ombra». Che è calata sulla Russia, ma anche sulla coscienza di molti che non vivevano in Unione sovietica. Perché non sapevano o non volevano cercare di sapere.
Una coscienza che non può ridestarsi definitivamente da un letargo a lungo covato leggendo le testimonianze di molti condannati alla vita nel gulag. Nel libro di padre Reati ce ne sono molti, di racconti. Come quello di Sederchol’m: «Quanto più ci si vive, tanto più si capisce che il lager Solovki è una sorta di gigantesco manicomio. Nell’ufficio tecnico presso la Sezione edile del campo si elaboravano progetti inauditi: "Centrale elettrica per tutte le isole Solovki", "Lavanderia meccanizzata modello"; "Darsena", "Osservatorio astronomico"; "Stazione zoologica e acquario sperimentali". Il professor Braz disegnava la facciata dell’edificio dove avrebbe avuto sede la Capitaneria di porto. Intanto, nelle latrine situate nella piazza centrale del Cremlino era caduto il tetto. I detenuti che popolavano il Cremlino, circa 5.000 uomini, facevano i loro bisogni in tutti gli angoli delle latrine e la sera era abbastanza pericoloso andarci perché alcuni sedili erano sprofondati e al loro posto si apriva una fossa maleodorante. Sulla piazza e nei corridoi di pietra talvolta cadono svenuti uomini stremati dalla fame e dal lavoro. La sera all’appello si leggono gli elenchi dei fucilati…Ma intanto sono in funzione due teatri. Vi si svolgono spettacoli e proiezioni cinematografiche. Su speciale commissione sono stati importati da Mosca strumenti a fiato e a corda per l’orchestra…Quando il principe Maksutov, che era stato ingaggiato come maschera nel tearo locale, non gridò "Attenti!" all’arrivo dei capi, venne spedito a Kondostrov a spaccare le pietre».
Ancora, dalle memorie di Sirijaev: «Ebbi modo di condividere per cinque giorni una cella della prigione di Butyrki con il pittore Michail Nesterov. Ben presto lo liberarono…Io intanto ricevetti la condanna. Naturalmente ero terrorizzato. Le Solovki…sangue…freddo e morte. Tutti nella cella mi compiangevano, sospiravano…Solo Nesterov bisbigliò:"Non si disperi! Tutto andrà per il meglio. Là Cristo è vicino"». Le isole furono scelte come luogo di detenzione di prigionieri politici in seguito ad un avvenimento accaduto nel 1923. In quell’anno, in una prigione a Vjatka (Oblast di Kirov), alcuni reclusi avevano inscenato una protesta clamorosa dandosi fuoco. Il fatto provocò una profonda emozione nella società russa. Il governo decise allora di trasportare i prigionieri in luoghi di detenzione lontani dalle città. Le isole Solovki, ad esempio: l’arcipelago è situato a 1.200 km da Mosca e 700 da Leningrado, abbastanza lontano affinché l’eco di eventuali rivolte non potesse giungere alle orecchie del popolo russo. Il primo contingente di detenuti politici, cinquecento, arrivò nell’arcipelago nel giugno del 1923. Uno dopo l’altro, vennero aperti campi di detenzione su tutte le isole. Negli anni seguenti, oltre agli oppositori politici, vi furono inviati criminali comuni, religiosi, membri dell’alta società zarista.
Cosa è accaduto nei Gulag, cosa è accaduto nei lager nazisti? Cosa è accaduto nel Novecento? «Oggi la storiografia, dopo ottant’anni di studi, è giunta alla conclusione che il gulag è connaturato al potere sovietico, perché lo accompagnò dall’inizio alla fine della sua esistenza e poi perché il gulag è espressione strutturale della società sovietica. Come scrive Nurth, "la Russia sovietica trovò nel gulag la sua espressione compiuta"», scrive padre Reati nel suo libro.
Libro nel quale è continuo il riferimento ad Arcipelago Gulag pubblicato negli anni Settanta da Solzenicyn: «Un passo decisivo per la conoscenza del mondo concentrazionario…Ovviamente egli fu duramente criticato da non pochi comunisti irriducibili: alcuni gli dettero del reazionario inacidito, altri gli obiettarono perché non criticasse le dittature fasciste dell’America latina, altri ancora che fosse un amico venduto alla borghesia internazionale. Anche perché prima della pubblicazione del lavoro di Solzenicyn, il partito comunista sovietico non fu in grado di sviluppare, o non volle, una seria riflessione critica sul gulag, che è una sua creazione diretta, per accertare in che rapporto esso fosse con la società comunista»
Per padre Reati, «l’epoca e l’epos dello scrittore sono anche la nostra epoca e il nostro epos. C’è qualcosa che si ripete: negli uomini si palesa una resa (e non una resistenza) al male, un’attitudine a dissolvere in esso la buona coscienza, a sciogliersi nella massa aninima, impermeabili non solo a idee ed aneliti alti, ma anche ai semplici sentimenti di compassione e pietà quotidiane». Si chiede: «Come giustificare la violenza, l’umiliazione e l’eliminazione di esseri umani in virtù del dovere? Nell’ideologia». Un’«ideologia che uccide», come scrive padre Reati. E che può essere vinta solo dal formarsi di «un’opinione pubblica, conseguenza di opinioni personali e, dunque, di personalità dotate di pensiero e volontà». «E se oggi siamo in crisi, è quello di oggi il tempo propizio per la crescita delle persone».