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I risultati del referendum sul futuro status del Sud Sudan (parte dell’accordo di pace del 2005 tra il governo di Khartoum e l’Esercito di liberazione popolare del Sudan)saranno realisticamente ufficializzati solo nel mese di febbraio, intanto però il dibattito sulle conseguenze di un’eventuale secessione del paese africano si fa interessante. Non soltanto perché stiamo parlando del più esteso paese africano, che forse è il peggiore del mondo dal punto di vista della sicurezza dei cittadini, ma anche per gli enormi interessi che le grandi potenze straniere, soprattutto la Cina, hanno all’interno del Sudan.

Il Sudan è il secondo fornitore africano di petrolio per la Cina, dietro l’Angola. Per questo motivo il gigante asiatico difende in tutti forum internazionali il Sudan dalle accuse di violazione dei diritti umani e di genocidio nella regione del Darfur. Il Sudan è stato messo dagli Stati Uniti nella lista dei “Paesi canaglia”. Così le compagnie petrolifere americane che esploravano il sud del Paese, dove è stato trovato oro nero in gran quantità, sono state costrette ad andarsene, immediatamente rimpiazzate da cinesi e malesi: imprenditori, operai, impiegati, ma anche capimafia e capi bastone cinesi hanno letteralmente invaso il Sudan. E concessioni minerarie di vario genere (comprese quelle petrolifere) sono state assegnate a uomini di Pechino.

La missione svolta prima della fine della guerra civile in Sudan con la delegazione “Ue/Africa, Caraibi, Pacifico” mi ha immerso in una situazione estremamente complessa dal punto di vista religioso, sociale ed economico. Il risultato della lunga guerra civile è pesante e ancora fa sentire i suoi influssi: guerriglia, violenza, vandalismi, senza contare la distruzione delle strutture, le malattie, la povertà estrema.

Sei europarlamentari sono tra i 32 osservatori Ue che si trovano in Sudan dal 9 gennaio. Secondo le prime considerazioni della bulgara Mariya Nedelcheva (PPE), «l’atmosfera è pacifica in gran parte del paese». A capo della missione Ue c’è Veronique De Keyser (S&D, Belgio), che ha ricordato che «il processo è ancora in corso», e che la fase critica sarà «il conteggio, l’aggregazione dei risultati e la valutazione dei ricorsi».

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