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Corriere della sera 30 aprile 2011
 
Quando una terra è desolata, c’ è solo da sperare che in qualche suo angolo, ci sia, secondo l’ antica certezza biblica, «la radice che porta», che cioè nel suo sottosuolo vada maturando qualche bulbo o germogli di vitalità. È questa l’ unica speranza per chi ricorda con rimpianto che per decenni è dalle intime fibre della società che sono stati generati processi di sviluppo strutturale: nel dopoguerra c’ è stata la sotterranea volontà collettiva di uscire dalla povertà (volontà di massa, come i partiti e i sindacati che la coltivavano); poi c’ è stato il sotterraneo crescere di un desiderio di agio borghese che è diventato nei fatti grande processo di cetomedizzazione; poi c’ è stato il sotterraneo affermarsi dell’ individualismo, prima arrangiatorio (con l’ esplosione dell’ economia sommersa) e successivamente dispiegato in iniziativa imprenditoriale e di lavoro autonomo; e poi ancora c’ è stato il proliferante affermarsi della vitalità delle economie locali e del localismo politico. E in queste vicende evolutive (le uniche realmente avvenute, mentre in tanti coltivavano ambizioni solo virtuali) sono ben riconoscibili due «radici che portano»: la carica di impegno singolo e personale (deprecato spesso come antico individualismo italiano) e la carica di promozione sociopolitica dei soggetti intermedi (i partiti e i sindacati di massa, l’ associazionismo categoriale, l’ interclassismo del ceto medio, il peso dei distretti e dei movimenti territoriali). Per nostra sfortuna o tragedia, a questo vitalismo di singoli e di corpi collettivi non si è sostituito negli ultimi quindici anni nessun altro germoglio di vitalità, anzi si è andati addirittura in controtendenza: la verticalizzazione e personalizzazione del potere politico ha esaltato solo gli ardori emotivi; la forzatura alla creazione di un competitivo fattore umano (fatta attraverso «più scuola e più università») si è risolta in una palude di generici ed inservibili precari; e anche l’ enfasi sulle minoranze imprenditoriali trainanti ha creato nelle statiche maggioranze la voglia di lasciarle sole, tali minoranze. In conclusione, viviamo da anni in deficit di vitalità endogena. Se vogliamo sperare in un futuro meno triste, dobbiamo ancora una volta mettere l’ orecchio sul terreno e capire se da qualche radice cominciano a fermentare e germinare nuovi processi vitali. Personalmente correrei il rischio di fare un tale tentativo; ed ho la sensazione che, delle due grandi radici dello sviluppo passato, ha più spinta propulsiva non il fattore della soggettività individuale (dove pure abbiamo tanti imprenditori da sostenere), ma piuttosto quella dei livelli intermedi di azione sociopolitica, visto che nella palude attuale si muovono sempre più soggetti collettivi che tendono ad aggregarsi in nuovi comportamenti. Penso ad esempio al percorso di unificazione delle tre grandi centrali cooperative; penso al comune operare in Rete Imprese Italia delle cinque confederazioni dell’ impresa piccola e diffusa; penso alla tendenziale unità di presenza esterna di Abi ed Ania; penso alla unificazione fra Uncem e Anci; penso alla crescente unità fra Unci e Coldiretti; penso allo stesso processo di unificazione che anima gli ordini professionali dei periti e dei geometri; penso al limite alla capacità della Lega di fare non solo partito, ma anche sindacato di territorio, nei vari territori di insediamento. Un po’ dappertutto avverto la voglia di riprendere il filo degli interessi collettivi, della mobilitazione collettiva, delle strategie collettive. Qualcuno può avanzare il dubbio che si tratti di meccanismi di difesa, se non di fuochi fatui; ma io sento che c’ è sostanza e fermento. Non ci dobbiamo illudere che le novità zampillino con immediata visibilità, ma il fermento c’ è ed opera. Ne vedremo gli effetti nel medio periodo, anche nelle istituzioni e nella politica (Gianni De Michelis arriva addirittura a prevedere un ritorno dei partiti); e saranno effetti che cresceranno man mano che sfiorirà l’ ambizione verticistica e si dovrà porre mano ai problemi reali, tutti di sostanza intermedia e tutti che chiedono la responsabilità articolata dei vari soggetti sociali.
 
De Rita Giuseppe